Era un venerdì grigio. La pioggia sottile cadeva come polvere bagnata sui vetri del tribunale. Dentro l’aula 3C, il neon tremolava appena, mentre un silenzio denso avvolgeva i presenti.
Marco era seduto sulla sinistra, il nodo della cravatta stretto troppo. Marta sulla destra, un cappotto chiaro e lo sguardo basso. In mezzo, un banco vuoto. Il loro.
Davanti, il giudice consultava il fascicolo con lentezza. Una pila di documenti, due firme già preparate, una sentenza pronta solo da verbalizzare.
Tutto era stato definito. Nessun contenzioso. Divisione equa dei beni, custodia condivisa del cane Arturo, nessuna richiesta accessoria. L’amore non era stato menzionato nemmeno una volta.
Sini sedeva due file più indietro. Non aveva detto nulla, non aveva chiesto nulla. Solo osservava.
Quando il giudice sollevò lo sguardo per chiedere se i due coniugi erano pronti a firmare, Sini alzò una mano.
— Mi perdoni, Vostro Onore. Chiedo di parlare, se possibile. Solo per un minuto.
Il giudice si irrigidì. — Non è prassi, ma lo concedo. Faccia presto.
Sini si alzò. La voce era ferma, ma non fredda. Non c’era retorica, solo verità.
— Mi rivolgo a Marta e Marco. È vero: il diritto ha fatto il suo corso. I documenti sono in ordine, la procedura è impeccabile. Ma c’è qualcosa che non può essere archiviato in un faldone. E sono le parole non dette.
Estrasse un foglietto e lo porse al giudice.
— Con il permesso della Corte, desidero leggere una frase. È stata scritta da una delle parti, per errore, forse. Ma contiene una verità che merita di essere ascoltata prima di firmare.
Il giudice annuì.
Sini lesse:
“A volte lo odio. Ma altre… mi manca come l’aria.”
Un sussurro si diffuse nella sala.
Marta spalancò gli occhi. Si voltò lentamente verso Marco, che la guardava già. Lacrime.
— È mia, — disse Marta. — L’ho scritta io. Non doveva leggerla nessuno.
— Ma è stata letta, — rispose Sini con dolcezza. — E Marco… l’ha ascoltata.
Marco si alzò in piedi.
— Io non voglio firmare, — disse. — Non oggi. Non se c’è anche solo una possibilità di tornare a casa con te.
La voce gli tremava.
— Marta, io… ti ho lasciata andare per codardia. Ma non ho mai smesso di volerti accanto. E se tu provi ancora qualcosa…
Lei si alzò. — Non ho mai smesso. Solo ho smesso di sperare.
Silenzio.
Poi il giudice chiuse il fascicolo. — Prendetevi il tempo che vi serve. La Corte non costringe nessuno a separarsi. A maggior ragione, se il sentimento è ancora presente.
All’uscita dal tribunalecamminarono fianco a fianco sotto la pioggia. Senza parlare, senza sfiorarsi. Ma qualcosa era già cambiato. Camminavano come chi ha appena visto un naufragio… e ha deciso di nuotare di nuovo verso la riva.
Sini li guardò allontanarsi dalla scalinata, poi si voltò. Non c’erano applausi, né riconoscimenti. Solo un’altra storia che forse, stavolta, avrebbe avuto un nuovo inizio.
A volte serve un tribunale per mettere in ordine le carte. Altre volte, serve un’ultima parola fuori copione per rimettere in ordine il cuore.
“Non tutto ciò che è pronto per essere firmato è anche pronto per essere finito.”