Nessun bambino dovrebbe mai essere messo nella condizione di dover scegliere tra la propria madre e il proprio padre. È un peso insopportabile, un conflitto interiore che neanche un adulto riuscirebbe a sostenere senza conseguenze. Eppure, nelle aule di tribunale, questa tragedia si consuma più spesso di quanto si voglia ammettere.
È accaduto anche questa volta. Un bambino, già ferito dalla separazione dei genitori, si è ritrovato davanti a un giudice, chiamato a esprimere una “preferenza”. Una parola fredda, burocratica, che cela un dolore lacerante. Preferire il papà o la mamma? Come se l’amore potesse essere pesato su una bilancia. Come se fosse giusto chiedere a un cuore di bambino di scegliere quale parte del suo mondo dover rinnegare.
L’avv. Sini, con la sensibilità e il rispetto che lo contraddistinguono, ha lottato con ogni mezzo per evitare questo epilogo. Ha proposto alternative, ha invitato le parti a confrontarsi con un esperto, uno psicologo capace di mediare, di aiutare i genitori a trovare un accordo nel superiore interesse del figlio. Ma l’avvocato della controparte si è opposto con ostinazione, rifiutando ogni tentativo di mediazione. Ha scelto lo scontro. Ha ignorato il grido silenzioso di un bambino che chiedeva solo di essere protetto.
Il risultato? Il bambino è crollato. È entrato in crisi. Come avrebbe potuto essere altrimenti? La sua voce, portata con pudore e tremore davanti a un giudice, è diventata la prova di una fragilità familiare che ha richiesto l’intervento dei servizi sociali. Ora, paradossalmente, si ipotizza persino la possibilità che i genitori perdano la responsabilità genitoriale. I servizi, constatando l’incapacità degli adulti di tutelare il figlio, hanno valutato l’opzione dell’affidamento a una famiglia esterna. Famiglie affidatarie preparate, certo, ma estranee. Famiglie che si prendono cura delle ferite lasciate da adulti irresponsabili, o peggio, da professionisti senza coscienza.
Questa è la realtà che si cela dietro certe scelte legali: decisioni apparentemente “tecniche”, ma che portano conseguenze devastanti quando mancano di etica, di umanità, di visione. In un contesto così delicato, un avvocato non è solo un interprete del diritto: è anche un custode di equilibri, un facilitatore di dialogo, un difensore del benessere dei più fragili.
L’avv. Sini lo sa bene. La sua battaglia quotidiana è proprio questa: non vincere “cause”, ma salvare famiglie. Convincere i genitori a fermarsi, a riflettere, a guardare oltre il rancore. A ricordare che un figlio ha bisogno di entrambi, anche quando l’amore tra i suoi genitori è finito. Perché i bambini non devono pagare il prezzo delle guerre degli adulti.
In un tempo in cui troppo spesso la giustizia si confonde con la vendetta e la strategia legale diventa una trincea, servono professionisti che non si limitino a fare il proprio mestiere, ma che si prendano la responsabilità di agire con cuore, intelligenza e coscienza.
E ogni volta che un avvocato ignora tutto questo, ogni volta che trasforma un tribunale in un campo di battaglia, lascia dietro di sé vittime invisibili, piccoli cuori spezzati che avrebbero solo voluto essere ascoltati, protetti, amati.
Tratto da: “Avvocati per soli uomini, o quasi”